Il bastone l’arma simbolo delle arti marziali filippine.

Il bastone di rattan si può definire arma simbolica nelle arti marziali filippine. Chiamato olisi, yantok, ma anche baton o baston a seconda dello stile, con una lunghezza di circa 70 cm, la sua introduzione risulta fondamentale in una pratica di combattimento complessa ed ancestrale, che ha trovato humus fertile anche al di fuori del paese di origine. In Europa, Francia ed Italia, dove si sono create vere e proprie scuole di combattimento col bastone si è assistito, dopo un iniziale attenzione all’aspetto coreografico e culturale, ad un passaggio netto allo studio della sua efficacia e praticità, probabilmente anche grazie alla crescente domanda di sicurezza del pubblico, scaturita dai numerosi casi di aggressione e violenza riportati dai media. L’aumentare della stessa domanda ha fatto sì che l’interesse legato non solo più alla pratica marziale nello specifico ma, nella fattispecie, alla necessità di apprendere tecniche di autodifesa, abbia diffuso anche in altre discipline lo studio del bastone, ritenuto non solo efficace nella difesa contro mano nuda, ma anche e soprattutto a mano armata, equiparando al meglio le disparità di genere, altezza, peso e prestanza fisica. Ciò fa facilmente intuire come anche l’uso del bastone si sia modificato nel tempo, affinché diventasse più fruibile anche a discipline non specifiche nell’insegnamento all’uso delle armi.

Un esempio di come tale connubio tra arti marziali di diversa origine si sia creato lo si può riscontrare tra il Wing Tsun e l’Escrima Latosa, connubio che appare mettere in equilibrio un fattore interdisciplinare scevro da aspetti culturali e votato all’efficacia e alla comprensione immediata.

L’interesse al miglioramento tecnico dell’uso del bastone ha inoltre coinvolto la didattica di addestramento di corpi militari e forze dell’ordine. Quest’ultime soprattutto, hanno sentito l’esigenza di un adeguamento formativo del personale, affinché un uso corretto dello strumento possa garantire un obiettivo primario di gestione e contenimento. L’uso dello stick nel Kali Kalasag diviene, in questo caso, esempio pragmatico di come lo studio dell’arma non si sia evoluto in senso sportivo, mantenendo uno stile di stampo bellico, adattato alle moderne esigenze di autodifesa.  

Il presupposto di partenza che, se si è disarmati, il corpo stesso deve diventare un’arma e che, se si ha a disposizione il bastone, esso va inteso come un prolungamento dell’arto che lo muove. La particolare attenzione, inoltre, allo studio al footwork, al controllo ed al disarmo, integrati al sistema di spostamenti sul triangolo, all’uso dei punti di pressione ed allo studio delle aree sensibili del corpo fa sì che il bastone del  Kali Kalasag offra una vasta gamma di tecniche dirette ed efficaci. La presentazione di un programma fruibile e ben strutturato inoltre, incontra crescente favore nell’integrazione dei programmi di difesa personale di diverse discipline marziali, che trovano nelle tecniche di difesa del Kali Kalasag,  la versatilità utile sia nell’acquisizione rapida di una reazione immediata in contesti di pericolo e sia nella fluidità dell’apprendimento, fattore importante per chi voglia imparare a difendersi.